Sulla cospicua e strategica eredità di Leonardo si apre un contenzioso di portata europea tra Venezia e gli Asburgo

L’Imperatore Massimiliano, in base ad antichi trattati, si impossessa immediatamente di Gorizia e dei suoi territori. Ma Venezia non sta a guardare e pochi anni dopo un esercito guidato da Bartolomeo D’Alviano dopo aver espugnato Cormòns, conquista Gorizia: la fortezza che racchiude Borgo Castello, forte di ottocento armati resiste per qualche giorno. I combattimenti sono violenti. Il vessillo di San Marco viene issato sul Castello di Gorizia il 22 aprile del 1508. Il dominio veneziano dura pochi mesi, il tempo di avviare l’adeguamento del Castello medievale ai criteri della guerra moderna.

Castello di Gorizia porta dei leoni
Castello di Gorizia

Già nell’anno successivo gli Asburgo rientrano in possesso di Gorizia, che resterà austriaca, a parte il periodo napoleonico, fino alla Prima Guerra Mondiale.
Nonostante Massimiliano riducesse drasticamente il territorio della Contea, limitandolo in pratica ai territori intorno a Gorizia, per la città l’appartenenza a un’entità statale potente e organizzata portò vantaggi economici notevolissimi: si sviluppa la viticoltura e il territorio intorno a Gorizia si specializza soprattutto nella produzione di vini bianchi che vengono esportati in Austria; prende il via la coltivazione della canapa e conseguentemente si sviluppano manifatture tessili che lavorano anche la lana; si rendono finalmente transitabili le strade che collegano Gorizia con la Carinzia attraverso la valle dell’Isonzo, ma anche quelle che la collegano con l’attuale Slovenia e quella per il mare, verso Duino. In un secolo, il Cinquecento, Gorizia passa da poco più di mille abitanti a quasi quattromila.

Il ‘600 e gli ordini religiosi

Le ostilità tra Asburgo e Venezia continuano, anzi si acuiscono nel Seicento, e sfociano in quel conflitto sanguinoso che è passato alla storia come Guerre Gradiscane. Dal 1616 al 1618 le armate si scontrano nei territori intorno a Gorizia, con Gradisca come epicentro, lasciando pressoché immutate, dopo tre anni di guerra, le posizioni dei due contendenti.Gorizia non viene direttamente coinvolta negli scontri e già nel 1615 in città si insediano i Gesuiti, ai quali si deve l’apertura delle prime scuole pubbliche e del seminario, nonché la costruzione della chiesa dedicata a Sant’Ignazio, originale esempio di stile barocco locale, con le tipiche cupole a cipolla. L’arrivo dei Gesuiti e, in seguito, di numerosi altri ordini religiosi rafforza in modo decisivo la condizione culturale della città. Un quadro molto interessante di questo periodo movimentato è stato tramandato da Giovanni Maria Marusig, che nel suo libro illustrato “Morti violenti e subitanee successe in Goritia“, offre squarci di cronaca (soprattutto nera) che ci restituiscono in modo sorprendentemente vivace l’immagine intatta della vita di un secolo.

Piazza Vittoria nel centro storico di Gorizia

‘700: il secolo d’oro

Nel Settecento, considerato il secolo d’oro per Gorizia, la popolazione aumenta fino a ottomila abitanti.Soprattutto sotto l’imperatrice Maria Teresa la città si abbellisce. L’architetto goriziano Nicolò Pacassi progetta due tra i più begli edifici cittadini: palazzo Attems-Santacroce, oggi sede del Municipio, e lo splendido palazzo Attems-Petzenstein, sede dei Musei Provinciali. Allo stesso Nicolò Pacassi si deve il palazzo imperiale di Schönbrunn a Vienna.
L’Età dei Lumi rappresenta una feconda stagione per le arti e le lettere. Migliorano le condizioni sociali e sorgono i primi circoli culturali, come l’Accademia dei Filomeleti e quella degli Arcadi Romano-Sonziaci.
Nascono le prime tipografie, gioielli dell’artigianato locale, di cui si servono per stampare le loro opere il librettista di Mozart, Da Ponte, e Casanova. Si fa strada una storiografia goriziana che ha in Rodolfo Coronini Cronberg e in Carlo Morelli i suoi protagonisti. Gorizia fa da cerniera tra gli influssi viennesi e la prepotente influenza artistica veneziana: Giovanni Michele Lichtenreiter e Antonio Paroli sono i maggiori rappresentanti di una scuola pittorica locale che si afferma nel Settecento.

Palazzo Attems - S. Croce

In questo secolo Gorizia assume le caratteristiche di città ricca e attraente.
Carlo Goldoni: “Non vi è provincia in Italia ove vi sia tanta nobiltà come in questa“;
Giacomo Casanova: “Mi trattenni a Gorizia fino alla fine del 1773 e durante le sei settimane di quel soggiorno trovai tutti gli svaghi che potevo desiderare…“;
Lorenzo Da Ponte, librettista di Mozart: “Per tutta quella notte non feci che piangere al solo pensiero di dover lasciare una città, dove io era sì ben trattato da tutti i buoni e dove giunsi talvolta a stimare me stesso“.

A testimonianza di un’epoca di pace e di tolleranza è la costruzione, nel 1756, della Sinagoga ebraica, ristrutturata negli anni ’80 e restituita alla città.

L ‘800: l’attesa della borghesia

Nell’Ottocento Gorizia, anche se piccola e periferica rispetto allo sterminato e composito Impero Austro-Ungarico di cui fa parte, è un vivace crocevia delle tensioni ideali. Carl von Czörnig divulga l’immagine, divenuta celebre, di Gorizia “Città Giardino“, “Nizza d’Austria“, sino ai primi del Novecento luogo privilegiato per le vacanze della nobiltà asburgica.

La città si estende verso Ovest e si delinea quell’impronta architettonica aristocratica e gradevole che ancora oggi la caratterizza. In questo periodo l’abitato raggiunge le rive dell’Isonzo, le cui straordinarie acque azzurre e le selvagge rive boscose rappresentano una delle bellezze della città. È un periodo di relativo benessere: i volti soddisfatti di una borghesia in ascesa ci sono tramandati dagli splendidi ritratti del pittore goriziano Giuseppe Tominz, molte delle cui opere sono custodite nei Musei Provinciali.
I fermenti ideali e le aspirazioni nazionali e nazionalistiche trovano un humus fecondo nella composita realtà della città. Di questa complessità culturale e linguistica si fa interprete Graziadio Isaia Ascoli, assurto a fama internazionale per i suoi studi sulle lingue indoeuropee. Il filosofo Carlo Michelstaedter (1887-1910) anch’egli, come Ascoli, di origine ebraica, rappresenta una delle espressioni più affascinanti e rappresentative della cultura europea. La summa del suo pensiero è contenuta ne “La Persuasione e la Rettorica“, una lucida analisi della condizione umana che Carlo portò alle estreme conseguenze, suicidandosi a soli 23 anni.
A Michelstaedter è dedicata una sala del Museo didattico della Sinagoga di Gorizia.

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